giovedì 17 gennaio 2008

IL VIN SANTO DI BARATTIERI - L'ELEGANZA

Ad Albarola, in Val Nure, in una delle aree più ricche di potenzialità di tutti i Colli Piacentini (con forte presenza di argille rosso-brune ferrettizzate) si produce uno dei nettari dolci più emozionanti di tutta la penisola. Un eccezionale Vin Santo. Prodotto certamente dall’inizio dell’800, ma quasi certamente fin da epoca precedente, visto che antiche fonti riferiscono che il Vin Santo di Albarola veniva inviato a Milano alla corte ducale dei Visconti.

In zona sono piuttosto rinomate le presunte proprietà taumaturgiche del Vin Santo. Si dice che la bisnonna di un produttore della vallata sia guarita dalla polmonite grazie alle ingenti quantità ingerite del prezioso nettare.
Si narra poi che nel 1920 un moribondo, membro della famiglia Barattieri, colpito da febbre tifoidea chiese, come ultimo desiderio, di bere un bicchiere di Vin Santo di Albarola; bevuto il Vin Santo il malato cadde in un sonno profondo e dopo 48 ore si risvegliò guarito.


Un tempo vi era la tradizione, da parte di chi aveva familiari malati, di recarsi ad Albarola per ottenere una bottiglia del Vin Santo di Barattieri da far bere all’ammalato sperando nella sua guarigione.


Oggi il Vin Santo viene prodotto a partire da vecchi vigneti di malvasia di Candia aromatica (un tempo si utilizzava anche il locale “champagnino”, ovvero marsanne) impiantati nel 1958 e nel 1982, soprattutto nella sottozona “Mercati”. L’uva è raccolta in cassette con diversi passaggi per scegliere i grappoli migliori e più spargoli.


(grappolo di malvasia di Candia aromatica)


L'uva viene poi stesa su cannette e graticci in solaio, dove rimarrà fino a completo appassimento (di solito metà-fine dicembre), epoca in cui si svolge la torchiatura.


Il mosto così ottenuto viene posto in una vasca d'acciaio fino alla formazione di una pellicola superficiale che lo isola e lo protegge dall'ambiente esterno.


Il mosto viene travasato nelle botticelle di rovere (con doghe spesse 5 centimetri e più, in buona parte con capacità di 250 litri) contenenti una “madre” risalente al 1823 (che viene “nutrita” con fonti di carboidrati). Nelle botticelle lasciate scolme si svolgerà una lunghissima fermentazione alcolica ad opera dei lieviti indigeni, senza aggiunta di solforosa e sfruttando gli sbalzi termici da una stagione all’altra. Vengono ancora utilizzate in parte le botticelle originali del 1824.


(particolare di una delle botticelle del 1824)

Segue un affinamento di 9 anni nelle botticelle, poi decantazione, assemblaggio finale delle diverse botticelle (ne vengono utilizzate 3-4 per ogni annata, tra cui sempre almeno una di quelle del 1824) e imbottigliamento senza aggiunta di solforosa. Punto.



(visioni d'insieme della vinsantaia)

Facile, no?

Gli zuccheri risultano essere in genere tra 250 e 300 gr/l, alcol svolto tra 12% e 13%, alcol complessivo tra 26% e 30%, acidità totale 8-9 gr/l, volatile intorno a 1 gr/l, estratto secco netto circa 40 gr/l o più.



(...bisognerà pazientare qualche anno...)

LA VERTICALE


Pur costituendo nel panorama dei vini dolci piacentini (dei vini dolci tout court, in realtà) un caso a sè, ne rappresenta comunque il massimo vertice qualitativo. Ne fa dunque pienamente parte (non è un marziano venuto dal nulla), affonda le proprie radici in un territorio ben definito che si chiama Albarola, viene prodotto da un vitigno che è una delle più grandi fortune che i Colli Piacentini possiedono utilizzando un metodo tramandato da generazioni.
E' come Yquem per il Sauternes. O come Avignonesi per il Vin Santo toscano.


1988

Seconda annata ufficialmente in commercio.

Ambrato con sfumature oro antico, si presenta lievemente opaco. Al naso si accavallano note di tamarindo, frutta candita, pasticceria, rosmarino e agrumi. Palato consistente e grasso, ma elegante ed equilibrato grazie a una buona acidità. La progressione gustativa si giova di un vastissimo spettro aromatico che chiude su fresche e persistenti note di confettura di rabarbaro. 89/100



1989


Ricchissimo di sfumature, multidimensionale e molto complesso: al naso tamarindo, fichi secchi, nocciola, miele, tè, crema pasticcera, canditi, brioche. Palato grasso e viscoso, di persistenza lunghissima. Attacca dolce e ampio, s’ispessisce polposo per trovare un cambio di ritmo che è prerogativa dei grandi vini. Allunga composto e inesorabile con bella propulsione dai tratti persino austeri e quasi nervosi (un’appena accennata scia amarognola) distendendosi in una coda finale di grande aromaticità balsamica, lunga e rinfrescante. 92/100



1992


Colore più evoluto, leggermente velato nel bicchiere. Il naso dirompe su tratti di caramella mu ed erbe aromatiche, nocciola, mandorla, fichi e tamarindo che si moltiplicano tra di loro anziché sommarsi semplicemente. Il palato è ampio, fresco e ricco di sovrapposizioni, con la caratteristica e lunghissima nota di zabaione. Salda e serrata la progressione gustativa, ben equilibrata e molto persistente. Esemplare. 91/100



1993


Ambrato con accenni ramati. Denso e ricco all’olfatto, esplode al palato con bell’impatto di morbida cremosità e buona freschezza, esibendo un ventaglio aromatico meno spinto sulla classica nota di zabaione alla menta, ma con profondità gustativa importante. 89/100



1994


Oro intenso e brillante. Ricco e complesso, attacca grasso e polposo sviluppando una bella profondità gustativa. La decisa acidità spinge il vino verso un finale che chiude su toni di frutta matura ed intriganti riverberi balsamici. 89/100




1995


La produzione raddoppia (quasi 600 bottiglie prodotte).


Colore oro antico di bella vivacità. Note di nobile evoluzione che si fondono con sensazioni cremose (chantilly) e di nocciola tostata in un naso molto seducente. Bocca grassa e profonda anche se più sottile di altre annate. In questa versione il nettare di Albarola trova dunque uno sviluppo lineare e fresco, più semplice. 88/100



1996


Occhio ambrato di grassa fluidità e un po’ torbido. Ossidazioni nobili con vastissimo e cangiante spettro olfattivo: miele, canditi, zabaione, savoiardo, pan di spagna, foglia di tè, tabacco dolce, pesca matura, nocciola. Il palato è un’esplosione di velluto, ampio e grasso con l’inconfondibile e rinfrescante scia balsamica ad irradiarsi in un centro bocca sciolto e continuo, elegante ed equilibrato nonostante l’elevatissimo residuo zuccherino. Finale cremoso e interminabile, di grande tensione espressiva. Nettare assoluto. 93/100



1997


Le note mentolate ben si combinano con miele, fichi secchi, agrumi canditi, tabacco dolce. La bocca è ricca e avvolgente, armoniosa nonostante la notevole densità. Si sviluppa appena più sottile e stretto del ’96, spinto da una lunga e fresca scia balsamica (più menta che zabaione) che innerva la struttura coadiuvata da una bella vena acida. Di grande bevibilità. 91/100


CONTINUA A LEGGERE "IL VIN SANTO DI BARATTIERI - L'ELEGANZA"!

lunedì 14 gennaio 2008

LA STORIA DEL VIN SANTO DI VIGOLENO



Secondo alcuni storici il nome "Vigoleno" deriverebbe dal latino “Vico Lieo”, ovvero “villaggio di Bacco”, a testimonianza dell’antica tradizione vitivinicola del luogo.
Esistono numerose testimonianze storiche sulla produzione di vino nel borgo. Ecco un estratto dell'inventario del castello, relativo alla cantina, datato 3 marzo 1539, che indirettamente attesta il consumo di vino, presumibilmente locale, nel borgo:
"In la prima caneva botte numero tre da vino vote…In una altra bora botte numero quattordici, in tre delle qual sono brente sedici di vino, la maggior parte bianco, vel circa".



Negli archivi della parrocchia di San Giorgio si trovano riferimenti alla situazione dei terreni nei dintorni del borgo negli anni 1558/1559. Le vigne coprivano complessivamente un'estensione di 1578 pertiche, equivalenti a circa 120 ettari.
Vi sono numerose testimonianze, dirette e indirette, sulla presenza e il consumo di vino a Vigoleno anche nei secoli successivi. Nei documenti del fondo Scotti Douglas da Vigoleno (conservato presso l'Archivio di Stato di Piacenza si trovano soprattutto cenni relativi alla compravendita di vino rosso e Moscatello. Ecco un'altra testimonianza, riguardante l'"arredamento" della cantina del castello, proveniente da "L'inventario dei mobili di Alberto Douglas Scotti da Vigoleno nel suo palazzo di Vigoleno" (2 maggio 1804):
"Nella cantina della fontana vi sono le seguenti botti e tine. Prima botte di castagno con 4 cerchi di ferro, che tiene Brente 20 circa; la seconda come la prima Brente 18 circa; la terza come sopra di Brente 16 circa; la quarta pure come le altre di Brente 14; la quinta poco buona di Brente 11; la sesta di Brente 9 circa. Tre tine buone con 3 cerchi di ferro ciascuna, che tengono in tutto Brente 85 circa; altre 3 tine verso il torchio come sopra, una però è poco buona, e tengono in tutto Brente 60 (…). Nella cantina seconda vi sono 3 botti quasi inutili, 2 con 4 cerchi di ferro, ed una con 2; un bottone senza fondello con 4 cerchi di ferro che tiene Brente 25 (…)".

Più difficile invece trovare cenni storici sulla nascita del Vin Santo di Vigoleno (che nel luogo di produzione in realtà viene chiamato "Vino” Santo). Sempre nel ricco fondo Scotti Douglas da Vigoleno si trova il "Libro del dare e dell'avere dei fittabili di Vigoleno", dove sono riportate due note del 1826 che attestano quanto meno l'esistenza del "Vino Santo" in quell'epoca. La prima, dell'8 gennaio, dice: "…ricevuta uva da Vino Santo dal masaro pesi diecinove e mezzo in prezzo di lire due e soldi dieci". La seconda, dell'8 settembre, è ancora più breve: "…ricevuta da Coloreti Antonio uva da Vino Santo".
Esiste poi un testo dello storico Lorenzo Molossi, "Vocabolario topografico di Parma, Piacenza e Guastalla" (1832-1834) in cui l'autore indicava Vico Lieo "come luogo in cui la squisitezza dei suoi vini, a Bacco si consacrasse", per poi passare a descrivere le risorse agricole del borgo:
"Il suolo produce principalmente grano, vino, legumi, castagne, indi grano turco, biada, frutta, funghi e poco fieno. Le uve, massimo le rosse, sono squisite; quelle di Bacedasco hanno molto grido; e i vin santi vengono meritatamente lodati".
Di epoca successiva (24/09/1888) è invece una nota, proveniente sempre dal fondo Scotti Douglas di Vigoleno, relativa all'affitto del torchio del castello da parte di Alberto Scotti a Varani Enrico e Sozzi Amato "per la fabbricazione del Vino Santo (…), per l'annua somma di lire 75, per anni 3".

Come abbiamo visto le fonti storiche certe sono molto rare, ed il tutto si limita in genere a scarne note contabili utili solo allo scopo di datare la produzione del Vin Santo.
Altra fonte storica è quella orale, incarnata dai discendenti dei primi produttori, famiglie che attualmente non producono più il Vin Santo. La famiglia Mangiavacca conserva bottiglie del 1848 e ricorda come fosse d'uso imbottigliare un certo numero di bottiglie di Vin Santo in occasione di una nascita, per poi regalare le bottiglie al nascituro una volta sposato oppure di stappare una bottiglia di Vin Santo durante i battesimi; in famiglia si narra di una bottiglia del 1900 stappata, ancora bevibile, nel 1967. Personalmente ricordo di aver stappato ad inizio 2004 una bottiglia del Vin Santo di Vigoleno annata 1967 prodotto dalla famiglia Volpicelli, conservata con cura nelle cantine di casa Villa, accanto all’oratorio della Madonna delle Grazie: il vino era ancora piacevole, dolce, intenso e "vivo" nonostante i 37 anni d'età.
I Volpicelli rammentano bottiglie del 1860 e conservano una targa vinta all'Esposizione di Piacenza del 1908 (in occasione dell'inaugurazione del ponte sul Po) ed un'altra ottenuta all'Esposizione Nazionale ed Internazionale di Torino del 1928.
Anche la famiglia Villa conserva una targa dell'Esposizione di Piacenza, oltre ad una vecchia etichetta dove è menzionato il premio vinto all'Esposizione Internazionale di Milano del 1906.
Come risulta dal n° 22 (15 novembre 1908) de L’AGRICOLTURA PIACENTINA, tra i premiati con la medaglia di bronzo alla Mostra Agraria del 1908 vi fu l’Azienda Villa Enrico fu Vincenzo di Vigoleno per il suo Vino Santo.
In conclusione la data di nascita del Vin Santo di Vigoleno può essere fatta risalire con certezza almeno agli anni '20 del XIX secolo, ma presumibilmente si deve andare indietro nei secoli, fino al XVIII se non prima, per trovarne le vere origini.
Ma il Vin santo di Vigoleno, come tutti i prodotti tradizionali che incarnano così profondamente lo spirito di un territorio, vivrà sempre anche, forse soprattutto, di tradizioni orali.
La Parrocchia di Vigoleno è stata un po’ la tutrice del Vin Santo. Ha sempre imbottigliato e pare che lo portasse in Curia per venderlo ai fedeli. Purtroppo si è interrotta la tradizione che voleva il parroco produttore di Vin Santo. L'ultimo parroco a produrre il Vin Santo è stato Don Leonardini, che utilizzava il Vin Santo anche per officiare Messa (per questo la vigna da cui si otteneva l'uva per il Vin Santo era chiamata "Vigna d'la Madona", cioè "Vigna della Madonna) e che inviava il Vin Santo anche alle parrocchie vicine.
Era il vino per gli ospiti. Solo negli anni ’70 del Novecento si è cominciato a imbottigliare. Ma sempre senza grossi pretese commerciali. È sempre rimasto il vino da regalare nei momenti importati e da offrire agli ospiti più graditi.
Il Vin Santo di Vigoleno è da sempre considerato vino di particolare pregio: il sig. Volpicelli ricorda come negli anni '60 del secolo scorso il prezzo di una bottiglia (erano bottiglie da 0,75 l.) variava dalle 700 alle 800 lire contro le 100 dei vini comuni. Un testo di Mario Fregoni, del 1966, conferma la tesi precedente: "La scarsa produzione non deve tuttavia sminuire il valore e l'importanza commerciale di questo vino piacentino, dato che presenta una finezza ed una armonicità di sapori e profumi superiori anche ad altri vini Santi di altre provincie italiane e quindi può essere esitato sul mercato a più di 1000 lire al litro".
In una ricerca scolastica, risalente al 1978, svolta dagli studenti della scuola elementare di Vigoleno, si legge che il Vin Santo "…viene venduto ad un prezzo alto, a 2.500 lire"; oggi il Vin Santo di Vigoleno è, giustamente, il più caro tra i vini doc dei colli piacentini.


LA STORIA DEI VINI PASSITI/VIN SANTI PIACENTINI
Al Museo dell'Agricoltura de la Tosa (a Vigolzone) si trovano alcuni documenti che attestano la produzione nei secoli scorsi di Vini Santi tra la Val Trebbia e la Val Nure.
Altri Vin Santi sono stati occasionalmente prodotti da singole famiglie in tempi non troppo recenti, senza però che sia poi nata una tradizione longeva.

Lo testimonia ad esempio un torchio a doppia vite in legno d’ulivo, che fino al 1940 era usato dalla famiglia Razza per schiacciare le uve scelte per Vin Santo, appartenenti alle varietà besgano bianco, malvasia, verdea e pizzutello. Le uve venivano raccolte prendendo il picciolo per non toccare gli acini con le mani e distese su ripiani di cannette poste in uno stanzone all’interno del castello di Aguzzano, fino a dopo Natale, epoca di torchiatura. Tra calo di peso e scarto degli acini marciti vi era una diminuzione del 50% in quantità.
Il torchio, azionato da due uomini, rilasciava un mosto denso che veniva immesso in botticelle di rovere da 50 litri dove avveniva una sedimentazione; dopo 10 giorni veniva travasato in una botticella ancora più piccola per eliminare il deposito e così dopo 20 e dopo 50 giorni.
Vi erano 10 botticelle contenente ciascuna un’annata di Vin Santo. Il più invecchiato era destinato dalla proprietaria del fondo, Annetta Massari, al figlio Don Eliso, parroco di Santa Brigida a Piacenza, che utilizzava il nettare durante la messa e per premiare i chierichetti più assidui e più studiosi.

Un Vin Santo era prodotto anche tra Rezzano e Travazzano in Val Chero, sul lato sinistro della vallata, sulla costa verso Celleri tra il Chero e il Vezzeno, dai fratelli Gallini di Rezzano.
Lo testimoniano una medaglia d’oro assegnata all’Esposizione di Milano del 1894 ed una medaglia vinta alla rassegna di Piacenza del 1902.

CONTINUA A LEGGERE "LA STORIA DEL VIN SANTO DI VIGOLENO"!

IL VIN SANTO DI VIGOLENO DI PERINI - LA POTENZA

Dal 1900 si produce in famiglia. Più o meno oggi come allora, siamo di fronte a un vino primitivo e rudimentale, fatto con il minimo della tecnologia.

Le uve vengono raccolte un po’ prima di quelle destinate alla produzione del vino “normale”, per garantire l’adeguata acidità al Vin Santo.
(vigneti ai piedi del borgo, località Villa)

I grappoli di santa maria, melara, bervedino e trebbiano raccolti nei vigneti della sottozona Villa vengono appesi a 2 a 2 con uno spago a travi del soffitto dette "pertiche", evitando contatti fra di essi, creando una fitta rete di “festoni”.


(due immagini di uve in appassimento nel solaio)


(in primo piano grappolo di santa maria in appassimento)

Generalmente verso metà dicembre le uve vengono torchiate intere (in presenza di bucce e raspi) in un torchio verticale da cui si ottiene un mosto densissimo e bruno. Dopo 2-3 giorni di torchiatura il prodotto è posto in un tino di rovere che viene coperto da un telo per evitare contaminazioni esterne. Il mosto viene lasciato fermentare, sedimentare e decantare per 20-30 giorni nel tino.

In questa fase si forma una pellicola di 4-5 mm. di spessore, bianco-verdastra all'esterno e rossastra (quasi color ruggine) nella parte a contatto col mosto-vino. Muffe e lieviti che proteggono il mosto da eccessive ossidazioni.

Dopo lo svolgimento di una prima fase fermentativa si svina, spillando il mosto-vino che viene posto in botticelle di rovere di diverse età (le più recenti hanno pochi anni, le più vecchie oltre quaranta). Sono botti di capacità variabile fra i 100 e i 150 litri, che vengono lasciate scolme, riempite per circa 3/4 allo scopo di innescare le reazioni ossidative responsabili delle caratteristiche organolettiche del Vin Santo di Vigoleno.

(la botticella del secondo anno di affinamento)

Nelle botticelle ha luogo la fase di fermentazione-affinamento svolta da una flora di lieviti autoselezionatisi negli anni, che procede molto lentamente. Durante questo periodo nelle botti scolme si forma il caratteristico e ricercato bouquet ossidativo grazie all'azione dell'ossigeno.


(la botticella del terzo anno di affinamento)

Si usano 5 (o suoi multipli) botticelle, una vera e propria “batteria”, una per ciascun anno di invecchiamento e si fa un travaso all'anno.


(le botticelle degli ultimi 3 anni di affinamento con l'imbottigliatrice e la riempitrice)

l secondo travaso è effettuato per tradizione il giorno di San Giovanni (24 giugno). Con i vari travasi il vino passa dalle botti più grandi a quelle più piccole proprio a causa delle perdite di volume da un anno all'altro. Non si ricorre alle colmature, quindi il vino si concentra particolarmente in un processo di produzione che presenta alcune analogie con quello degli aceti balsamici tradizionali.


(la riempitrice)

L’alcol svolto varia da un’annata all’altra tra il 12% e il 14%, con zuccheri tra i 250 e i 300 gr/, per un alcol complessivo che varia tra il 25% ed il 30%, l’acidità totale varia da 7 ad 8 gr/l, mentre la volatile supera quasi sempre 1 gr/l spingendosi al massimo fino a 1,5 gr/l.



LA VERTICALE

Se il Vin Santo di Barattieri è sinfonico, quello di Perini è semmai monolitico. E del monolite porta in sè qualcosa di arcaico. Così come quello è cerebrale e aristocratico, questo è "di pancia" e contadino.
Sono comunque entrambi pure espressioni dei rispettivi territori di provenienza. Due vini-bandiera, seppur introvabili, dei Colli Piacentini.



1997

Naso rustico, leggermente polveroso. Cifra olfattiva che identifica quest’annata insieme al caramello, al caffè e alla nocciola, lasciando intravedere cenni di agrumi canditi; ma dove veramente questo vino fa la differenza è in bocca. Qui rivela la sua potenza e le sue potenzialità. Qui si distende grasso e lungo, concentrato e viscoso. Spesso e straripante. La materia è tanta. Più potente che elegante. Di suadente maestosità l’impatto, anche se un po’ monolitico e senza forse il cambio di ritmo, il contrasto e il dinamismo che, insieme a un naso più preciso, lo avrebbero reso veramente grande. 87/100



1998

Le due nuove botticelle del secondo e del terzo anno di affinamento (rovere, 150 litri di capacità, doghe molto spesse), entrano “in funzione” e permettono un nuovo e diverso sviluppo aromatico (che troverà maggior compimento in annate successive), qui ancora in via di focalizzazione, con note nocciolose, di fico secco, datteri, prugne disidratate, tamarindo e melata. La bocca, al solito imponente e cremosa, di peso e spessore, è appena sbilanciata verso un’opulenta dolcezza. Un’annata di transizione, dove si intravedono nuove possibilità espressive. 86/100



1999

Colore noce mogano. Pur non avendo ancora trovato il perfetto equilibrio coi due legni nuovi, ecco farsi più compiuta l’ipotesi di spostamento verso nuove frontiere espressive e possibili margini di crescita per questo nettare. Soprattutto al naso dove, volatile a parte sempre un po’ sopra le righe, è in corso una fase di pulizia, ampliamento e disvelamento degli aromi. Nocciola, mallo di noce, miele di castagno e melata, marron glacée, tamarindo, e poi sensazioni quasi torbate. La bocca è densa e potente, profonda e avvolgente, ricca di quella succulenta polpa cremosa che è forse il tratto più distintivo di questo vino. 88/100



2000

Scende oleoso nel suo caldo e leggermente velato color mogano con lievi screziature quasi ramato-rossastre, aprendosi su un naso che oltre all’acidità volatile mostra sfumature nitide di miele di castagno, confettura di susine, marron glacé, castagnaccio, caramello e dolci note di caffè. In bocca l’impressionante voluminosità si abbandona ad una dolce polpa opulenta di bella persistenza, alla quale gioverebbero qualche contrasto e rilievo in più. 85/100


CONTINUA A LEGGERE "IL VIN SANTO DI VIGOLENO DI PERINI - LA POTENZA"!

SI PARTE

Piacenza e i suoi colli vantano una lunga e poco conosciuta tradizione di vini prodotti da uve appassite, chiamati anche, già nei secoli scorsi, “vin santo” o “vino santo” (allora come oggi le sfumature che stanno tra “vino passito” e “vin(o) santo” possono essere molto sottili e i due termini erano-sono praticamente sinonimi). Solo negli ultimi anni però è iniziata una fase di valorizzazione qualitativa di questi prodotti, al punto che oggi alcuni tra i migliori vini da uve appassite italiani vengono proprio da questo territorio.

Questo blog vorrebbe divulgare in particolare la conoscenza dei vini passiti piacentini (e dei vini piacentini più in generale...sì, si parlerà anche di Gutturnio). Assaggiandoli, testandoli, confrontandoli con passiti di altri territori, parlando coi produttori, coi tecnici, sempre con un occhio a 360° su ciò che accade altrove, per conoscere e far conoscere un universo affascinante e sorprendente ma semi-inesplorato, anche negli stessi Colli Piacentini.




Vorrei iniziare col parlar di Vin Santi, di Vin Santi veri e propri, ovvero di ciò che in questo modo viene riconosciuto dai disciplinari. E prima ancora tentare di fare un po’ di chiarezza tra ciò che oggi s’intende per “Vino Passito” e per “Vin Santo”. Perché come detto a volte si rischia di parlare della stessa cosa (Il Vin Santo in fondo è una tipologia di vino passito), ma è possibile, generalizzando, indicare alcune differenze che più la tradizione che la legislazione ha permesso di evidenziare.
Alcune differenze tra Vini Passiti propriamente detti e Vin Santi: i Vin Santi non sono quasi mai realizzati a partire da uve aromatiche (se escludiamo una significativa eccezione, proprio piacentina, di cui parlerò in un prossimo post), al contrario di molti vini Passiti, e prevedono periodi di fermentazione-affinamento del mosto-vino mediamente più lunghi; i Vin Santi sono sempre vinificati in legno (rovere o altro) tramite l’impiego di batterie di botticelle di dimensioni differenti un po’ come avviene nella produzione degli aceti balsamici tradizionali, mentre i vini Passiti possono pure non vedere botti di legno; tradizionalmente, almeno in Toscana, il foro di cocchiume delle botticelle del Vin Santo veniva "murato" col cemento, pratica non usata per i Passiti; l'affinamento dei Vin Santi è effettuato tradizionalmente in sottotetti soggetti a sbalzi termici e le botti di affinamento sono lasciate scolme per sviluppare le caratteristiche note organolettiche ossidate, situazioni invece rare per molti vini Passiti prodotti in stile riduttivo. Inoltre la “madre” viene impiegata da un anno all’altro nella produzione dei Vin Santi, non dei Passiti.


Il Vin Santo in genere ha poco a che vedere con l'ortodossia enologica. Nel pianeta Vin Santo vige quasi una sorta d’irrazionalità enologica, ciò che altrove è aborrito qui è considerato virtù ed è in grado di generare vini emozionanti. Il giornalista e docente universitario statunitense Bill Nesto ha scritto che "… l'inevitabile ossidazione e gli elevati livelli di acidità volatile tipici dei Vin Santi artigianali, potrebbero essere gli ingredienti del peggior incubo di un enologo".


DISCIPLINARE E CARATTERI DEI VIN SANTI PIACENTINI
Tra le 18 tipologie di vino d.o.c. dei Colli Piacentini ne esistono 2 esplicitamente dedicate al Vin Santo.
Il Vin Santo dei Colli Piacentini deve essere prodotto da uve malvasia di Candia aromatica e/o ortrugo e/o sauvignon e/o marsanne e/o trebbiano romagnolo per almeno l’80% che possono provenire da tutti i comuni vitati della provincia. I rari Vin Santi piacentini (Vigoleno escluso) vengono però tutti prodotti da malvasia in purezza, con 4 anni di invecchiamento minimo del vino. Sono attualmente 3 i produttori iscritti, ma si può dire che ciascuno persegua e proponga un’idea a sé, ciascuno la propria ricetta e il proprio retaggio familiare, spesso sganciato da reali tradizioni contadine diffuse nella vallata o sottozona.
Non così nel territorio di Vigoleno, dove, in una zona dalla conformazione unica che i geologi conoscono come Formazione di Vigoleno, dal nome dell’omonimo borgo medievale posto ai confini orientali della provincia di Piacenza (sul crinale che separa la Val d'Ongina dalla Val Stirone, in comune di Vernasca), esiste un'area in cui alcune famiglie (i produttori, attualmente 7, sono in aumento), condividono una tecnica di produzione tramandata di padre in figlio dagli inizi dell’800 e che poche modifiche ha subito negli anni. Da stappare nelle grandi occasioni o da regalare alle persone più care, il Vin Santo di Vigoleno incarna una storia contadina dalle origini incerte ma dal sicuro fascino, perché ci parla di un vino antico, arcaico per tecniche e tecnologie di produzione (giusto qualche recente accorgimento nella scelta delle botti e nei supporti per l’appassimento delle uve), che ha rischiato l’estinzione sia per lo spopolamento delle colline, sia in seguito all’interruzione della tradizione che voleva il parroco di Vigoleno principale produttore. L'ultimo parroco a produrlo è stato Don Leonardini, che fino agli scorsi anni ’70 lo utilizzava per officiare Messa (per questo la vigna del Vin Santo, la meglio esposta della zona, era chiamata "Vigna della Madonna”) e lo inviava anche alle parrocchie vicine.
Poco conosciuto al di fuori della ristretta zona di produzione, vuoi per la produzione esigua (10-12 ettolitri l’anno!), vuoi per l’apparente gelosia con cui i produttori custodiscono il prezioso nettare quasi faticassero a separarsene, il Vin Santo di Vigoleno ha ritrovato slancio produttivo con l’entrata in scena delle nuove generazioni, disposte ad impiantare nuovi filari dei rari vitigni santa maria e melara e ad assecondare i lunghi periodi di affinamento previsti dal disciplinare (anzi, i 5 anni minimi diventano spesso 7-8), necessari per giungere alla complessità del prodotto finale, di grande consistenza e grassezza.
Il Vin Santo di Vigoleno è fra tutti i Vin Santi italiani quello che, per disciplinare, prevede il periodo minimo di affinamento più lungo prima dell'immissione al consumo, al pari solo di alcuni Vin Santi toscani Riserva e di certi Vin Santi "Occhio di pernice", ottenuti da uve rosse. Ed è il Vin Santo con la gradazione alcolica minima più elevata insieme ad un paio di Vin Santi “Occhio di pernice”. Ora, questi dati non significano che il Vin Santo di Vigoleno sia migliore degli altri, testimoniano però dell’impegno dei produttori, della loro volontà di creare qualcosa di importante che segua tempi d'evoluzione propri non eccessivamente dettati da esigenze di mercato.
Il disciplinare del Colli Piacentini Vin Santo di Vigoleno risale al 1996, e prevede l'utilizzo di uve quali marsanne e/o bervedino e/o sauvignon e/o ortrugo e/o trebbiano romagnolo per un minimo del 60%, mentre il rimanente può provenire da uve bianche non aromatiche raccomandate e/o autorizzate in provincia di Piacenza, in genere si tratta delle varietà santa maria e melara. Anzi i produttori a Vigoleno tendono ad utilizzare prevalentemente proprio la santa maria, considerata la varietà più idonea a realizzare il Vin Santo. La santa maria (iscritta al Catalogo nazionale delle varietà di viti nel 1999) è di origine sconosciuta; secondo la tradizione orale si tratta di una varietà tipica della Val d'Arda, così come la melara. Di solito si comincia con la raccolta della santa maria e poi, progressivamente, tutti gli altri. La santa maria presenta acini ovali, grappolo mediamente compatto, di media grandezza, a maturazione relativamente precoce; la melara ha il grappolo più piccolo della santa maria, più compatto ( anche se per l’appassimento si scelgono i più spargoli), acino grosso, buccia sottile e alta sensibilità al marciume e alla botrytis. Queste due uve hanno un potenziale zuccherino così elevato che se non fossero “accompagnate” da altre varietà meno zuccherine, il vino che se ne ricaverebbe sarebbe probabilmente stucchevole. Le altre varietà diluiscono un po’ il patrimonio zuccherino, favorendo la bevibilità.
(le foto che seguono provengono da www.crpv.it)

santa maria: foglia

santa maria: germoglio

santa maria: grappolo

melara: foglia

melara: germoglio

melara: grappolo


L'area di produzione del Vin Santo di Vigoleno comprende la porzione collinare tra la Valle d'Ongina e la Valle dello Stirone, compresa in parte del territorio collinare del territorio del comune di Vernasca ed esattamente:
partendo, a nord, in località Riocorto, dall'incrocio fra il torrente Ongina e il confine del Comune di Vernasca, verso nord, segue il ciglio destro del Torrente Ongina fino all'ansa in prossimità di quota 125, segue l'ansa e risale la carraia a quota 159, segue la strada dritta ad ovest di Colle San Giuseppe fino a quota 186 quindi la carraia scende a quota 182 sul confine comunale di Vernasca. Segue il confine comunale fino ad incontrare il Torrente Stirone che segna il confine della provincia di Piacenza. Si identifica, verso sud, con il ciglio sinistro del Torrente Stirone fino ad incontrare lo stradello che conduce a quota 173 in località San Genesio. Da San Genesio prosegue lungo la strada comunale fino ai Trabucchi e poi lungo la stessa strada provinciale di Borla fino a quota 234. Quindi sale la strada comunale dei Baroni passando per Perpiano e scende fino ad incrociare il ponte sul Torrente Ongina. Segue, verso Nord, il Torrente Ongina e si identifica con esso fino a ritornare al punto di partenza in località Riocorto.
Le uve utilizzate per il Vin Santo di Vigoleno provengono da vecchie vigne impiantate nei terreni esposti a sud sul versante dello Stirone e a ovest sul versante dell'Ongina, dove non è inconsueto trovare vigne di 40-50 anni o più. I terreni derivano da argille scagliose ed argilloscisti del pliocenico piacenziano, sono quindi di natura argillo-calcarea, spesso ciottolosi, rocciosi e asciutti. Più in dettaglio, verso il torrente si trovano argille chiare con blocchi di calcare, mentre verso il torrente Ongina banchi di calcare e arenaria si alternano ad argille sabbiose (con numerosa presenza di conchiglie fossili).
Le operazioni di vinificazione, di invecchiamento obbligatorio, di imbottigliamento e di affinamento in bottiglia devono essere effettuate solamente all'interno del territorio amministrativo del comune di Vernasca.
La resa di uva per ettaro è di 50 quintali, con resa massima di uva fresca da trasformare in vino finito del 30%. L'alcol effettivo minimo è di 10,5%, l'alcol totale è di 18%, l'acidità totale minima è di 5 gr/l., l'acidità volatile massima è di 1,6 gr/l e l'estratto secco netto minimo è di 22 gr/l. Le uve devono essere appassite su pianta e su graticci, prima della spremitura che può avvenire solo dopo il 1° dicembre dell'anno di raccolta, in modo da raggiungere un contenuto zuccherino non inferiore al 28%.
Il disciplinare parla di colore "dorato o ambrato più o meno intenso" (ma in realtà tende più spesso all'ambrato) e di sapore "dolce, armonico, pieno, corposo e vellutato". L'invecchiamento minimo deve essere di 60 mesi, di cui almeno 48 mesi in botti di legno (di capacità non superiore ai 500 litri) a decorrere dal 1° novembre dell'annata vendemmiale. In genere i produttori lasciano il vino in botte per i 60 mesi minimi previsti, ma qualcuno anche per periodi di tempo maggiori.
Il vino deve essere immesso al consumo esclusivamente in bottiglie "renane" di capacità 0,375-0,500-0,750 litri (ma ormai tutti utilizzano in prevalenza la bottiglia da mezzo litro) con tappo raso di sughero.
Bottiglie prodotte complessivamente: 2.500 – 2.700 bottiglie da 0,5 litri
Ettari vitati: circa 2 ( in futuro si prevede di arrivare a 4,5 - 5 ettari complessivi)
Il sistema di allevamento: Guyot alla piacentina, con uno sperone ed un tralcio, un braccio a monte e uno a valle, 10 gemme per tralcio (anche meno sulla santa maria e sull’ortrugo). I vecchi vigneti erano piantati a 2000 ceppi per ettaro; oggi le nuove vigne si impiantano a 4000 piante per ettaro ( 2.50x1.40).
Altitudine delle vigne: dai 170 ai 390 metri di altitudine s.l.m.


CONTINUA A LEGGERE "SI PARTE"!